Un’antica Roma piuttosto pittoresca quella immaginata, più che ricostruita, da Maurizio Battista e Gianni Quinto in Tu quoque. Film ambizioso e forse un tantino pretenzioso dal momento che, oltre ad essere in costume (non trascurabile difficoltà), nonostante i suoi iconici protagonisti si propone di essere non solo una commedia, ma un film impegnato che intende offrire una morale, soffermandosi su temi complessi come il rapporto padre figlio, la malattia, il confronto con se stessi.
“Tu quoque”? Buone le intenzioni ma solo sulla carta
Premesso che sono tutti bravissimi, la colonna sonora originale aggiunge un plus interessante e alcuni cammei sono davvero godibili, bisogna dire che, per quanto fossero buone le intenzioni, il film non riesce a rispettarle. L’intento moralizzatore si arena sul nascere. Lo stesso “viaggio nel tempo dell’eroe” (che inevitabilmente richiama alla mente quelli di Ulisse e Dante), anziché essere un percorso di crescita interiore, alla ricerca del vero sé; si traduce dagli esordi in una superficiale “gita”.
Il protagonista, accaparrandosi la stima dagli antichi predecessori con futili pretesti, ovvero spacciando per sue invenzioni che non lo sono affatto; anziché affrontare un cammino esistenziale si limita ad una vuota, nonché meschina, assoluzione di sé. Massimo, alias Maurizio Battista, non elabora i suoi problemi ma si dà solo ragione. In particolare, nel rapporto col figlio che lo rifiuta, un convincente Guglielmo Poggi, il protagonista non si pone la benché minima domanda. Non si chiede neanche il perché di tanto odio, rabbia e rancore da parte del figlio e invece di affrontare la situazione facendosi un esame di coscienza, dopo diverse sedute dalla profetessa – allegoria di una moderna psicologa – l’unica risposta in grado di darsi è proprio: Tu quoque.

“Tu Quoque”: un anti-modello come protagonista
Il bello è che tutti sembrano convinti di un percorso evolutivo del protagonista, attorno a cui effettivamente ruota la storia; in un clima di spensierata leggerezza – nonostante tutto – che lo dipinge come un bonaccione, una povera vittima del sistema. Come se non fosse evidente che Massimo, sempre commosso e con il luccicone negli occhi (ovviamente solo preoccupato per se stesso) e pronto a sparare, con bonaria saccenza, perle di saggezza e consigli agli altri – dall’alto della sua sbandierata ignoranza – non è altro che un disfattista; uno sconfitto; un fallito egoista.
Insomma, per il protagonista è normale vivere di debiti, espedienti e truffe, campare come un parassita sulle spalle degli altri, non nutrire alcuna ambizione e, di conseguenza, odiare e invidiare chi ne ha e le coltiva. Nel caso specifico: il suo stesso figlio che sta lottando per realizzarsi.
E allora sì, dispiace per le contingenze e può anche far piacere il lieto fine ma con il coraggio di non perdere di vista la realtà del modello, o meglio dell’anti-modello proposto.
Del resto, la stessa espressione Tu quoque, di dubbia provenienza, è un escamotage barbino di giustificarsi. Ma davvero rinfacciare agli altri le loro responsabilità, senza soffermarsi sulle proprie è un modo per risolvere problemi e conflitti?
Peccato perché le premesse c’erano e anche il talento, solo che sono rimaste entrambe in embrione senza essere veramente sviluppate. E allora forse non sarebbe stato meglio non chiamarle proprio in causa e limitarsi a una spassosa commedia? Quasi quasi mi chiedo se tutto questo non sia una provocazione volutamente architettata da regista e protagonista, autori anche della sceneggiatura…
Roma oggi e Roma Ieri
Colpi di scena, sì, ma relativi. I parallelismi tra la Roma antica e quella contemporanea sono abbastanza elementari, focalizzati sugli aspetti negativi della città e dei suoi abitanti. In particolare, l’Urbe, oggi come ieri risulta caotica, disordinata, caratterizzata dal menefreghismo di chi le abita, dalla prevedibilità dei comportamenti incivili. Con la nota positiva che Roma non viene rappresentata solo come un semplice luogo ma come una dimensione parallela che scorre a ritmi diversi a seconda della prospettiva da cui le si vive; veloce dall’esterno e immobile dall’interno.
I cammei di “Tu quoque”: gioiello del film
Bellissimi alcuni cammei tra cui quello del funzionario dell’ufficio tasse, Stefano Antonucci e della profetessa, Luciana De Falco. Divertenti i congiurati, tra cui Giorgio Caputo, Marco Conidi e Antonio Fiorillo. Su Cicerone e Agrippa taccio perché sono delle figure a cui personalmente sono troppo affezionata.
Ludovica Palmieri