Ludovica Palmieri

CASO, MAI – L’imprevedibile virtù della dignità

CASO, MAI uno spettacolo che non ti aspetti

CASO, MAI – L’imprevedibile virtù della dignità è uno spettacolo che catapulta il pubblico in una realtà inaspettata; che può sconvolgere, chi si abbandona alla magia del teatro, regalando una vera esperienza. CASO, MAI racconta, rendendo il pubblico partecipe, una situazione dolorosa, incomprensibile, su cui, solitamente, è difficile anche soffermarsi a riflettere.

Grazie allo splendido lavoro di squadra, lo spettacolo, pur trattando un tema complesso, scomodo e angoscioso, scorre velocemente, lasciando, al termine, il pubblico di stucco. 

Il cast

Simone Guarany, Licia Amendola, Maria Sessa, Marco Giustini, Giorgio Gobbi, Giulia Bornacin, Chiara Becchimanzi (doppio cast), Federica Proia, sono gli attori di CASO, MAI, scritto da Simone Guarany che, insieme a Licia Amendola, ne ha curato anche la regia. Lo spettacolo, in scena, in anteprima nazionale, dal 24 al 29 maggio, al Teatro Cometa Off di Roma, è stato realizzato con il patrocinio di AISLA, Centri Clinici NeMO, Nazionale poeti, Calabria Movie e di Roma Capitale.

CASO, MAI una domanda esistenziale

CASO, MAI innesca una riflessione sul senso della vita perché, per usare le parole dell’autore, riflette sulla domanda: “Cosa farei se mi ammalassi fino a perdere l’uso del mio corpo? Cercando di trovare risposte a domande che toccano il significato stesso della nostra esistenza.”

In altre parole, CASO, MAI, affronta il delicatissimo tema del fine vita, del suicidio medicalmente assistito. Questione quanto mai attuale, dal momento che il divieto italiano si traduce, come per molti altri temi legati alla salute, in una discriminazione sociale ed economica; per cui, chi ha le possibilità economiche, ha anche quelle di decidere liberamente e viceversa.

La delicatezza senza giudizio 

Simone Guarany affronta questo tema con delicatezza, senza giudizio e persino con una punta di ironia. Certo, non definirei questo spettacolo una commedia leggera; perché, mettendo il pubblico di fronte ad una domanda esistenziale, direi che si tratta di un’opera drammaturgica di spessore. La bravura di Simone Guarany, Licia Amendola e tutti gli attori, sta proprio nel riuscire a portare il pubblico gradualmente all’interno del dramma. Lo spettacolo, infatti, è sapientemente diviso in due atti che, anche se continui, differiscono nei ritmi: veloce e incalzante, il primo; profondo, serio, forte il secondo.

La prima parte: una “normalità” instabile

Caso, Mai
Caso, Mai. Simone Guarany e Licia Amendola. ph Matteo Nardone

Nella prima parte, incontriamo i protagonisti nel loro vivere quotidiano, “normale” tra virgolette, nell’instabilità e difficoltà che caratterizzano molte coppie, tra l’amante – Federica Proia e digressioni filosofiche sul vuoto che pervade quella che Massimiliano – Simone Guarany, definisce: “La generazione della vanità; degli attacchi di panico; dei sogni irrealizzabili. La generazione del fallimento delle grandi ideologie e della crisi del capitalismo […]”. Solo che, dopo aver fatto affezionare il pubblico ai personaggi, tutto cambia.

La seconda parte: un climax ascendente

La seconda parte è un crescendo. Un climax ascendente che gli attori interpretano (verrebbe da

Caso, Mai
Caso, Mai. Simone Guarany e Licia Amendola. ph Matteo Nardone

dire quasi “vivono”) in maniera strabiliante; compiendo una vera e proprio metamorfosi, nel volto, nelle voci, negli occhi.

Simone Guarany è impressionante, commovente, terribilmente vero e coinvolgente; così come Marco Giustini appare freddo, risoluto, deciso ma, nello stesso tempo, tremendamente spaventato e vulnerabile, privato delle sue fisiche certezze. Entrambi mostrano due modi diversi, ma ugualmente drammatici, di vivere il decorso della malattia.

Le due ragazze, Licia Amendola – Flaminia e Maria Sessa – Paola, sono altrettanto penetranti, appassionate, potenti nel loro dolore e nel manifestarlo in due reazioni completamente diverse; entrambe di grande sensibilità, a dispetto delle apparenze. Grazie al testo, scritto con grande abilità; alla regia di qualità; alle straordinarie capacità attoriali dei protagonisti, tutti ben calibrati nell’interpretare le diverse personalità, lo spettacolo trasmette – senza indulgere in commiserazione o pietismi –  tutto il dramma, la sofferenza e le difficoltà che provoca l’irrompere della malattia. Dimostrando che in queste situazioni, ognuno reagisce in modo assolutamente proprio e che non esiste giusto o sbagliato, bianco o nero. Esiste solo l’umano. Del resto, La virtù della dignità non è un qualcosa di standardizzato o standardizzabile ma, come suggerisce il sottotitolo dello spettacolo, è imprevedibile.

CASO, MAI uno spettacolo umano

CASO, MAI non è uno spettacolo religioso, non fa la morale a nessuno. É vero, c’è una suora, Giulia Bornacin, ma ha ben poco di cattolico e penso che sia un personaggio chiave per alleggerire un tantino la seconda parte e conferirle maggior respiro. La sua cinica ironia è preziosa per mantenere il ritmo, seppur rallentato ma comunque sostenuto, della seconda parte e per non cadere nel melodramma. Giorgio Gobbi è intenso nella parte del medico, capace di cambiare completamente tono, viso, impostazione a seconda dell’interlocutore che ha di fronte.

Un lavoro di studio, preparazione e ricerca

In CASO, MAI nulla è lasciato al caso. E’ evidente che dietro lo spettacolo c’è un grandissimo lavoro di studio, preparazione e ricerca. Tutti gli attori hanno affrontato un percorso profondo per entrare pienamente nei loro personaggi, tanto da farne trapelare il dolore, la difficoltà e la sofferenza; sia dal punto di vista di chi contrae la malattia, sia da quello di chi la vive a fianco della persona amata e, persino, dal punto di vista del personale sanitario che, ogni giorno, lotta per la vita dei pazienti e per sostenere e supportare i loro cari.

Il tutto esce rafforzato dalle musiche originali di Giacomo Vezzani.

L.P.

Caso, Mai
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