Ludovica Palmieri

Cinghiali: uno spettacolo per vegani

Cinghiali: l’idea

L’idea poteva anche essere buona, perché sicuramente affrontare la realtà da un punto di vista completamente “altro” è sempre stimolante e innovativo. Tuttavia, se l’inizio decisamente originale lascia ben sperare; nel suo troppo lungo (quasi due ore) svolgersi, lo spettacolo si perde e non si afferma né come commedia né come dramma, dal momento che la riflessione rimane sempre a un livello superficiale. Infatti, soprattutto nella seconda parte, la trama si infittisce di scene dalla vocazione impegnata che anziché rafforzarlo lo indeboliscono.

L’ottimo Cast

Ciò nonostante, devo dire che il cast è di prima scelta con un Giuseppe Zep Ragone, in splendida forma, convincente anche nei panni di Red; cinghiale curioso e affascinante nel suo impermeabile alla Humphrey Bogart; un’esilarante Antonia di Francesco che avevo già avuto il piacere di ammirare in L’uomo, la Bestia e la Virtù, (con Marco Cavallaro che tornerà in scena a febbraio al Teatro de Servi e che consiglio vivamente); un ruggente Duccio Camerini e una dolce Veronica Liberale, autrice del testo, che ho visto per la prima volta in quest’occasione.

Per saperne di più su Giuseppe Zep Ragone leggi anche QUI

Come anticipato all’inizio, in Cinghiali, al Teatro De Servi, il punto di vista è sicuramente “altro” dal momento che il titolo non è metaforico ma indica letteralmente i protagonisti dalla cui prospettiva è narrata la vicenda.

L’inizio come commedia

All’inizio lo spettacolo è brillante, avendo tutta l’aria della commedia. Gli attori sono bravi, stanno perfettamente nella parte e la regia di Pietro De Silva è costruita bene con trovate molto carine e divertenti.

Cinghiali al Teatro De Servi. Foto Rolando
Cinghiali al Teatro De Servi. Foto Rolando

Le scene vincenti

Singolare la storia raccontata dalla cinghiala Amaranta – interpretata dalla Liberale – ai suoi cuccioli, sempre dal punto di vista degli animali. Gli esseri umani, chiamati dai cinghiali “dumani” per il fatto che al posto delle zampe hanno per l’appunto due mani, sono visti come invasori, in quella che ricorda come la Prima Guerra di Maremma, con tanto di eroi come Setola Nera e Cinghia Grigia.

Efficacissime le minacce di essere trasformati in ragù e salsicce, rivolte da Nerina, Antonia di Francesco, ai cuccioli per farli rigare dritti.

Simpatico l’esteriormente rude Calidone, Duccio Camerini, quando, affermando che i cinghiali sono solidali e che un determinato territorio non è di nessuno, lo marca insistentemente urinando in tutti gli angoli. Bello anche il discorso sull’ibridismo per cui la “purezza” della specie è solo una vana mistificazione.

I riferimenti all’attualità (?)

Sulla stessa scia, ho trovato riuscita la chiosa sulla discriminazione cui sono soggette le povere bestie: odiate dagli umani, evitate dai daini, persino body shamerate dagli opossum, che voglio leggere come un implicito riferimento alle discriminazioni cui sono ancora oggi soggette molte persone perché percepite “diverse”. Così come spero di non sbagliare interpretando lo snobismo dei cinghiali toscani come una comica parodia dei luoghi comuni sulle differenze tra Roma sud e Roma nord.

Gli esseri umani come “voci fuori campo”

Ancora molto efficaci le scene di incontro tra umani e cinghiali in cui i primi “compaiono” solo attraverso le esilaranti voci fuori campo Silvia Englebert, Francesca Pausilli, Alessandro Caraman.

Per finire

Tuttavia, come anticipato, specialmente nella seconda parte, lo spettacolo si arricchisce di scene superficialmente moraleggianti che, per quanto avrei voluto, non mi consentono di leggere quest’opera come una metafora della contemporaneità. Infatti, anziché proporre una riflessione profonda e seria, rimane sempre in superficie, prendendosi troppo sul serio e, dilungandosi eccessivamente sulla questione animalista, finisce per rivelarsi proprio per quello che è una storia di e sui cinghiali e non una metafora portatrice di un messaggio più complesso.

L.P.

Cinghiali al Teatro De Servi. Foto Rolando
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