Ludovica Palmieri

“Come fosse amore” una scrittura maschile che stupisce

Come fosse amore

Se la domanda è: “Può un uomo scrivere di rapporti e relazioni al femminile?” La risposta, che forse non avrei dato, è sì!

Sì, se a scrivere c’è Marco Cavallaro, autore, regista e interprete di Come fosse amore, uno spettacolo frizzante, intelligente e divertente, in scena al teatro De Servi che scorre agilmente lungo tutto l’arco della sua durata.

Cominciando dalla fine, proprio come fa il regista, devo dire che, nel complesso Come fosse amore riesce davvero bene. É ben calibrato, con un ritmo veloce, dato dal procedere incalzante delle scene. 

Senza avere la pretesa di trovare soluzioni alla complessità delle donne ma, anzi, ironizzando proprio sul fatto che gli uomini spesso per semplificare tendono a banalizzarne o minimizzarne le difficoltà, Cavallaro, attraverso le quattro talentuose attrici in scena, delinea i profili di altrettante donne che risultano iconici senza essere pedanti. Dei veri e propri ritratti in movimento che, per il loro essere leggeri ed autoironici, diventano degli archetipi in cui è possibile rispecchiarsi. 

L’intellettuale: Margherita Russo; l’altolocata: Anna Bellucci; l’insaziabile: Ludovica Bei e lei, la psicologa: Alessia Francescangeli.

I personaggi di Come fosse amore

Come fosse amore, ph Claudia Rolando, in azione
Come fosse amore, ph Claudia Rolando, in azione

Come fosse amore propone un mix effervescente di caratteristiche femminili che esplode con l’ingresso sul palco dei due personaggi maschili: Marco Cavallaro, nei panni di Ettore, un Don Giovanni dal cuore tenero e idee bislacche e Luigi, Peppe Piromalli, una sorta di contemporaneo Leporetto, sempre pronto, sebbene controvoglia, a fare da spalla all’amico intraprendente.

La trama fluida e coinvolgente

Come fosse amore, ph Claudia Rolando, le attrici
Come fosse amore, ph Claudia Rolando, le attrici

La trama è fluida ed avvincente, ricca di trovate brillanti e coinvolgenti, come il matrimonio iniziale, che, insieme ai costumi: buffi ed eloquenti, approfondiscono i caratteri dei diversi personaggi, senza appesantirli. Ottime le dinamiche scenografie che cambiano a seconda delle ambientazioni e amplificano lo spazio scenico con inaspettati ingressi e via di fuga, movimentando lo spettacolo e potenziandone la verve comica. Piacevoli e ben costruite le coreografie che spesso risultano forzate, retoriche e pesanti; mentre, in questo caso svolgono a pieno la loro funzione di raccordo e sintesi, per cui si inseriscono perfettamente nella trama, rendendola più snella ed efficace.  

Gli interpreti di Come fosse amore

Le performance sono notevoli. Tutti gli attori in scena si distinguono per l’essere convincenti e comici al tempo stesso. Senza voler svelare troppo della trama, basti dire che Come fosse amore parte dalle storie di tre donne che si rivolgono ad una terapeuta per “risolvere” i loro problemi relazionali, ignorando il fatto che la loro dottoressa non solo soffre degli stessi, identici problemi ma, consapevole dell’impossibilità di “risolverli” una volta per tutte, perché non esistono “terapie” per l’amore, li ha gestiti semplicemente rifiutando in toto il vitale sentimento. 

Le attrici

Alessia Francescangeli, la psicologa, è talmente abile nel suo ruolo da fare una pessima pubblicità alla categoria, per la pretesa di affrontare problematiche che lei stessa, in cuor suo, reputa “incurabili”. Inoltre, la Francescangeli sbalordisce il pubblico con la scena della sbornia, ove fanno il loro ingresso anche i personaggi maschili. In un momento di debolezza, la terapeuta cede all’alcol e, nel giro di pochi bicchieri, muta totalmente registro, passando dall’essere una compita professionista ad una sguaiata femmina da osteria. Emblematico come quest’unico, innocente episodio di perdita di controllo e dei freni inibitori della protagonista – che la Francescangeli interpreta magistralmente, dando anche un sonoro calcio alla scenografia – rappresenti il momento cruciale, in cui per Ettore, Marco Cavallaro, scocca la scintilla. 

Anna Bellucci, che avevo avuto già la fortuna di conoscere, è splendida e spassosa nei panni della donna snob e altolocata; che, apparentemente pretende di essere decisa, autoritaria e consapevole; mentre, in realtà, si rivela credulona e sempliciotta. Margherita Russo è irresistibile nelle vesti dell’intellettuale, a tratti incompresa, sinceramente appassionata di arte e cultura, in cui – confesso – mi sono un attimino riconosciuta. Ludovica Bei è tenera ed estremamente comica nel suo inarrestabile desiderio di esplorare il mondo della sessualità e delle relazioni in tutte le possibili sfaccettature tanto da arrivare, nel corso dello spettacolo, a cambiare orientamento sessuale. 

Gli attori 

I due protagonisti maschili sono molto efficaci ed estremamente versatili. Forse la recitazione, per i miei gusti, è un po’ caricata, ma fa parte della natura dello spettacolo che gioca sull’esasperazione di determinati stereotipi. Marco Cavallaro, è Ettore ma, nello stesso tempo, è l’uomo ideale di tutte le protagoniste, capace di trasformarsi, a seconda dei loro desideri reconditi: nell’intellettuale radical chic; nel coatto di borgata e persino nella donna che conduce all’amore saffico Ludovica Bei. Marco Cavallaro, in scena, riveste apertamente il ruolo di one man show recitando, ballando e rivendicando la paternità dello spettacolo e della regia con fulminee incursioni oltre la quarta parete in cui, con la complicità di Piromalli, strizza, soddisfatto, l’occhio al pubblico.

Peppe Piromalli, sebbene di poche parole, svolge un ruolo di compensazione importantissimo. Bilanciando l’entusiasmo e la proattività del protagonista con le controparti femminili. Grazie alla sua esperienza e alle elevatissime capacità attoriali, Piromalli è in grado di suscitare ilarità e reazioni positive nel pubblico anche solo con occhiate, sguardi particolari e piccoli gesti. Insomma, la sua presenza scenica è fondamentale per la riuscita dello spettacolo. 

Uno sguardo all’interno

Guardando le protagoniste un po’ più da vicino, direi che, nello spettacolo, il tratto più forte, volutamente esagerato, che le unisce è l’ingenuità. Tutte loro, compreso la psicologa, appaiono disperatamente assetate di amore e disposte a tutto pur di averlo. Sono ingenue nella misura in cui risultano incapaci di filtrare e così credono a tutto, si innamorano in due ore “seguendo il loro tempo interno“, uno dei leitmotiv della sceneggiatura; insomma, cedono alla prima lusinga, al primo complimento, mostrandosi totalmente incapaci di andare oltre le apparenze, di capire chi hanno di fronte. Certo, partendo dal presupposto che questa ingenuità connaturata nel genere femminile sia una trovata teatrale e non una convinzione dell’autore, devo dire che funziona nella misura in cui, a mio parere, fa emergere un valido messaggio. 

Perché se la psicologa, consapevole della potenza dell’amore, pensa di potersi difendere vestendo una corazza di razionalità, costituita da regole ferree e precise; lo spettacolo rivela che anche la logica più fredda e rigida, davanti all’autenticità dei sentimenti crolla, sciogliendosi come neve al sole – o almeno si spera sia così – provocando, a seconda dei casi, valanghe di diversa intensità.

L.P.

 

Come fosse amore, ph Claudia Rolando
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