Ludovica Palmieri

Nel traffico con Veronica Milaneschi per “Storia d’incroci e d’anarchia”, uno spettacolo a tutto gas.

Storia d’incroci e d’anarchia

Ironica e frizzante ma, soprattutto incazzata, questa è Veronica Milaneschi nello spettacolo: STORIA D’INCROCI E D’ANARCHIA, scritto da lei e diretto da Patrizio Cigliano, che ha debuttato, il 6 luglio, al Teatro Marconi, di Roma nell’ambito del Marconi Teatro Festival.

L’educazione stradale e la vita

Il monologo parte in media res con la protagonista che si presenta non solo come una donna arrabbiata al volante, ma proprio come una “moralizzatrice del traffico”. Del resto, come indica il titolo, Storia di incroci e di Anarchia è uno spettacolo in cui, a partire da vicende di maleducazione stradale, la protagonista coglie l’occasione per parlare di vita ed affrontare numerose tematiche che vanno dall’infanzia negli anni Ottanta, alla maturità; dal rapporto con i genitori, in particolare con la madre, a quello con i numerosi psichiatri che l’hanno seguita nel suo percorso di vita; fino ad arrivare alla maternità.

La protagonista: un’erinni contemporanea

Quello che prova la protagonista nel traffico di Roma, città di cui si sente figlia e custode, non è un semplice fastidio per le persone che non rispettano il codice della strada ma è proprio una missione da cui si sente investita per grazia “urbana” più che divina. Per cui, in una città in cui regna l’anarchia al volante, si ritrova a svolgere il gravoso compito di fare giustizia, proprio come se fosse, per usare la sua definizione, un’erinni della contemporaneità. Certo, a mio parere, Veronica Milaneschi, nella dinamica di trasformazione da ragazza normale a giustiziera, con le luci rosse, i muscoli in tensione, l’emergere delle vene e il sangue dal naso, ricorda più Hulk, al limite Mr Hyde, per citare un classico, che un’erinni della tragedia greca.

Storia d'incroci e d'anarchia, Fabrizio Brugnoletti ph, Veronica Milaneschi
Storia d’incroci e d’anarchia, Fabrizio Brugnoletti ph, Veronica Milaneschi

Lo spettacolo procede in maniera spedita, dimostrando, attraverso le vicende narrate, la predestinazione di Veronica Milaneschi a questo ruolo. Tutto l’ha portata a diventare quello che è, dall’infanzia trascorsa a fare vendetta a scuola, all’adolescenza in via della Magliana. Insomma, come emerge dalle sedute con i vari analisti e psicologi, il suo percorso di crescita non avrebbe potuto dare un esito diverso.

Un percorso segnato

Veronica è consapevole di essere particolarmente suscettibile e di avere un problema con la rabbia; ma, nonostante la cospicua collezione di psichiatri e psicoterapeuti, non riesce a reprimere la vendicatrice che è in lei sin dall’adolescenza; quando, in sella al suo fedele motorino modificato Cesare Augusto, come ‘na pazza, andava in giro per Roma; da casa di Nino Manfredi, a quelle di Mastroianni e di Alberto Sordi; dall’Eur al Pinciano e Coppedè fino al Vaticano, per far rispettare il codice della strada. Certo, proprio tutta Roma no, dal momento che i genitori e, nello specifico, la madre, l’avevano sempre tenuta lontana da Roma nord – Corso Francia, Collina Fleming -luogo di vizi e perdizione.

Con la maturità cambiano i mezzi ma non le intenzioni

Con la maturità i mezzi cambiano, prima Enzo, il nuovo scooter e poi la macchina, perché con la gravidanza bisogna “limitare lo stress” – cosa praticamente impossibile – e aumentare la sicurezza; ma le intenzioni no. Per questo oltre al San Pietrino che, sin dalla tenera età tiene nella borsetta, subentrano nuovi mezzi ed escamotage di “correzione” ed educazione civica. Come la mannaia per graffiare rapidamente e l’esilarante trovata di Suor Aci personaggio ideato per insultare e punire senza doverne temere le eventuali conseguenze.

I riferimenti culturali, montagne russe della comicità

In questo viaggio per Roma senza parabrezza, senza casco, senza freni… i riferimenti culturali sono tantissimi e di tenore molto diverso tra loro. Il bello, poi, è che non sono mai astratti, vuote esibizioni culturali, ma sempre legati a luoghi ed esperienze, sempre ragionati. Con ironia e sincerità, manifestando anche le proprie paure, come la fobia per i tucani e punti deboli, tra cui la dipendenza da psicofarmaci; la protagonista conduce il pubblico in un percorso che si snoda nello spazio e nel tempo. Tra il presente e un passato, più o meno, remoto.

Come in una corsa in motorino su è giù per i sette colli, facendo lo slalom tra le buche, nello spettacolo si passa velocemente – aumentando la verve comica – da momenti estremamente leggeri di pura comicità: come il richiamo al  cartone animato anni ’80, Stilly e lo specchio magico, da cui l’attrice mutua la formula magica “Teke Maya Maya Kon”; a richiami di natura storica e culturale, che la protagonista non dà mai per scontati, come il riferimento alla statua del Mosè Ridicolo di Domenico e Giovanni Fontana o il ricordo di  Righetto, morto per salvare Roma dai francesi.

Una dichiarazione d’amore alla città eterna

Per concludere, trovo che Storia d’incroci e d’anarchia si possa leggere come un omaggio sui generis a Roma. Esilarante, irriverente e poetico per il suo essere teneramente carico di amore per la città che, a tratti, sembra personificata come, del resto, avviene per gli oggetti principali – dal motorino, al san pietrino –  della narrazione. Uno spettacolo “da attrice” sottolinea il regista Patrizio Cigliano ma anche da autrice aggiungo io, nella misura in cui, come un’abito di sartoria, appare cucito su misura per la protagonista.

L.P.

Storia d'incroci e d'anarchia, Fabrizio Brugnoletti ph
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