Ludovica Palmieri

“Poi dice che uno beve” uno spettacolo dall’ambientazione insolita

Quando al Teatro Belli di Trastevere il sipario si apre per “Poi dice che uno beve” ci si ritrova catapultati direttamente in un gigantesco bagno.

Un monologo che acquista le sembianze di un dialogo 

Poi dice che uno beve Lupaioli e Di Marco
Poi dice che uno beve Lupaioli e Di Marco

È questo il contesto in cui si svolge l’originale spettacolo di Lucilla Lupaioli, autrice e regista, per la performance di un rampante Alessandro di Marco che, entrando in scena, ingaggia subito un rapporto confidenziale con il pubblico; mettendo implicitamente in chiaro che lo spettacolo, più che come monologo, è costruito come un intimo dialogo tra protagonista e pubblico ed esplicitamente che il bagno, wc, toilette, che dir si voglia è il suo rifugio, sua comfort zone, sin da quando era bambino.

La comfort zone 

Come se, una volta al sicuro nel bagno, sua confort zone, Orlando – questo il nome del protagonista, Alessandro Di Marco – rigorosamente munito di drink, si sentisse finalmente libero di potersi mettere a nudo, esprimendosi senza filtri, come in una sorta di confessionale; Quindi senza il bisogno di essere politicamente corretto o di doversi necessariamente sentire a proprio agio.

Il contesto 

Il contesto è quello di una cena romantica. Ma non una cena qualunque, una cena che prelude a decisioni di vita. Forse, una dichiarazione di matrimonio. Tuttavia, il punto non è questo. Tanto che il protagonista per quanto si apra con il pubblico, non rivelerà mai né il nome del misterioso fidanzato – che potrebbe essere uno dei tanti menzionato, da Ovidio al Figaccione filosofo, fino a Diamante, l’Alieno – né la sua risposta. Lasciando così il finale aperto

I due temi portanti

Perché, quello che interessa al protagonista non è tanto il contingente, quanto una riflessione più ampia, di stampo esistenziale, su due tematiche intimamente legate tra loro: le relazioni di coppia e il rapporto con se stessi.

Le relazioni di coppia e il rapporto con se stessi

Perché se è vero che la crisi del protagonista viene innescata dal rapporto con l’altro, è altrettanto vero che la stessa non può risolversi senza una pace fatta prima con se stessi.

Il senso di inadeguatezza 

Poi dice che uno beve, Alessandro Di Marco, foto di Marcella Cistola e Alice Tinozzi
Poi dice che uno beve, Alessandro Di Marco, foto di Marcella Cistola e Alice Tinozzi

E allora, dal dilemma sul fuggire o affrontare la coppia, scaturisce la riflessione. Che verte prima sulla pericolosità dell’abituarsi a se stessi. Perché con la solitudine si formano una serie di abitudini che poi diventano dure a morire. Per andare poi più a fondo e soffermarsi sul senso di inadeguatezza. Nell’immediato tale sentire si traduce in una comica boutade, nel disagio provato al ristorante stellato, in cui “stai sempre là là per fare una figura di merda” e la cameriera, anche quando porta semplicemente il pane: “sembra una sacerdotessa“. 

Poi la ricerca continua sino alle origini di quel senso di inadeguatezza, arrivando all’infanzia e all’adolescenza a Spinaceto. Periferia romana in cui “ogni passo era un nascondersi e un trovarsi” e dove sopravvivere all’omosessualità fu un miracolo possibile solo grazie al sostegno della sua migliore amica. Tanto che da adulto, pur consapevole che il luogo in cui si è cresciuti non è discriminante, per parlare della sua infanzia preferisce ricordare Piazza Irnerio, dov’è nato, piuttosto che Spinaceto, considerando che: rifarsi a dove si è nati piuttosto che a dove si è cresciuti è decisamente più poetico. In quel contesto, a nove anni, ha identificato il bagno come comfort zone, luogo sicuro, quando, a scuola, la maestra, anziché difenderlo dai bulli, lo esortò a scappare, rifugiandosi nella toilette.

Una brusca virata

Da lì la riflessione prosegue, partendo un po’ per una tangente. Con una (troppo) lunga digressione sui rapporti familiari, in particolare con il padre. Sicuramente toccante ma penalizzante per il ritmo e il tono complessivi dello spettacolo che ne risultano rallentati e mutati. Infatti, a quel punto il protagonista aveva già conquistato la platea che lo seguiva, ridendo rumorosamente e di gran gusto, a tutte le sue gag. 

In effetti, le trovate comiche sono esilaranti, in primis quella dell’alcol che fa da cornice ai diversi momenti. Diciamo che nonostante il titolo, lo spettacolo non è incentrato sul bere, però i drink fanno la loro efficacissima parte nel connotare i diversi contesti. Vino bianco per la cena elegante; angelo azzurro per il party scalmanato; vino rosso per i momenti intensi. 

Tra le trovate più divertenti anche il momento del rapporto con Osvaldo, declinato in modo veramente comico. E quelli in cui si mette alla prova come ballerino e cantante. 

Il rapporto con le nuove generazioni 

Interessante anche l’analisi delle dinamiche relazionali tra le diverse generazioni, che scaturiscono dal rapporto con l’Alieno, alias Diamante, nuovo commesso nello store di Gucci e che danno modo all’autrice di affrontare, in modo leggero ma ficcante, il tema dei diritti LGBTQ+. L’importanza di questo rapporto si rivela nel suo evolversi durante lo spettacolo, come se il ragazzo più giovane, “insegnasse” al collega adulto ad accettare delle conquiste identitarie che a lui, seppur gay e fautore delle lotte per i diritti negli anni precedenti, apparivano come pretese esagerate, perché ancora inconsapevolmente imbrigliato in una cultura di stampo patriarcale. Il tema è complesso e non privo di contraddizioni, a partire dal desiderare il matrimonio, una convenzione che in gioventù il protagonista avrebbe rifiutato per principio, come portato della famiglia tradizionale borghese. 

Nello specifico, il rapporto dei due inizia con un rifiuto totale da parte di Orlando, per poi maturare in una sobria accettazione e diventare, alla fine, pieno riconoscimento che si risolve nel dargli spazio perché “i clienti che entrano devono vedere subito il futuro”.

Tra i momenti topici della pièce segnalo la descrizione del pride ma, soprattutto, quella dell’esperienza in dark room, colorita e decisamente ficcante.

La rassegna EXPO 

Poi dice che uno beve rassegna EXPO
Poi dice che uno beve rassegna EXPO

Poi dice che uno beve rientra in Expo rassegna di drammaturgia italiana contemporanea, a cura di Franco Clavari e Andrea Paolotti, con l’organizzazione di Federico la Pera che, tra febbraio a aprile ,presenta una serie di 10 spettacoli per promuovere gli attori italiani e le giovani compagnie che operano sul territorio nazionale.

L.P.

Info
Produzione: società per Attori e Bluestocking
Testo e regia Lucilla Lupaioli
Scene e costumi Nicola Civinini
Assistente regia Guido Del Vento
Light design Sirio Lupaioli
Foto Marcella Cistola e Alice Tinozzi

Poi dice che uno beve, foto di Marcella Cistola e Alice Tinozzi
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